(...) non lasciatevi turlupinare da chi vi comanda, da chi vi promette, da chi vi spaventa, da chi vuole sostituire un padrone con un nuovo padrone, non siate gregge perdio, non riparatevi sotto l'ombrello delle colpe altrui, lottate, ragionate col vostro cervello, ricordate che ciascuno è qualcuno, un individuo prezioso, responsabile, artefice di se stesso, difendetelo il vostro io, nocciolo di ogni libertà, la libertà è un dovere, prima che un diritto è un dovere.
- UN UOMO, O. Fallacci

giovedì 9 gennaio 2014

Il Fotografo

Novembre 2013


Al balcone del quarto piano, scala A, secondo appartamento, si affaccia spesso un giovane uomo: un paio di occhiali dalla montatura spessa si appoggiano su un naso importante che ricorda vagamente un becco e schermano due occhi neri e profondi che scrutano con attenzione la strada sottostante. Tra le mani brandisce, quasi fosse un’arma, una macchina fotografica con cui immortala ciò che accade nel suo mondo. Di foto ne scatta a centinaia e sotto i colpi dei suoi clic rimangono a terra passerotti e passanti, amici e ricordi.
Se guardi con attenzione verso la sua finestra, quando il sole non si specchia in essa abbagliandoti, potresti intravedere la sua stanza: le pareti sono ricoperte di fotografie. Ce ne sono talmente tante che della vecchia carta da parati ingiallita, che probabilmente era già lì prima della sua nascita, non si può scorgere neppure un angolo scrostato. Mi chiedo se siano state appese come tanti tasselli di un mosaico, per costruire un’immagine più complessa, oppure se guardandole ti perderesti in un vortice senza ordine dove spazio e tempo si contorcono, apparentemente prive di alcun senso.
Non si sa cosa faccia il Fotografo nella sua vita, ma si sa che lo fa con la sua macchina fotografica tra le mani. Sembra determinato a catturare il mondo, a racchiuderlo in un rullino, o, per essere precisi, in centinaia di essi. È un’ossessione. Ha mai guardato il mondo senza la mediazione di quell’obiettivo?
Una delle foto appese sopra il suo letto rappresenta via Manci. È una delle sue prime fotografie: la scattò con l’aiuto di suo padre poco più che bambino, agli inizi degli anni ’80. Proprio lì, al centro della via, al numero 14, c’era una piccola drogheria che profumava di menta piperita e chiodi di garofano e che vendeva le caramelle a tutti i bambini del circondario. Tutti i bambini, dopo la scuola, vi si precipitavano e il proprietario, un uomo dal forte accento tedesco e i grandi baffi bianchi, li serviva uno a uno con la pazienza di un monaco buddista.
In quel negozio il Fotografo ci aveva speso tutte le paghette mensili per almeno un anno, ma poi il droghiere si era ammalato e la drogheria era stata chiusa. La fotografia, però, era stata scattata prima di quel funesto avvenimento.
Oggi il Fotografo ha circa trentacinque anni e inizia a stempiarsi ma ogni lunedì passa ancora per via Manci per andare a comprare le sue caramelle: entra regolarmente al numero 14, che ora profuma di carta stampata e inchiostro e che vende libri, per ordinare al bancone un etto di liquirizie, di quelle gommose. Il commesso lo guarda sempre con sguardo stranito domandandosi se sarebbe il caso di chiamare la Croce Verde e più di una volta ha tentato di spiegargli che la drogheria è chiusa almeno da dieci anni prima e che non può vendergli nessuna caramella, al massimo un ricettario per imparare a fare dei dolcetti. Tuttavia il Fotografo sembra non voler sentire ragioni: ogni lunedì esce da quel negozio borbottando improperi contro il droghiere dai baffi bianchi e il marcato accento tedesco che non ha voluto vendergli le liquirizie, quelle gommose.
Un’altra delle fotografie, di fianco alla libreria, ha catturato l’immagine di suo fratello minore che, scolaretto delle elementari, viene strigliato dal padre che brandisce minacciosamente quella che sembra una pagella. Si può intuire che sia un colabrodo: il fratellino, infatti, era un monello che piuttosto che fare i compiti avrebbe attraversato un mare di carboni ardenti. Preferiva passare il suo tempo a pianificare strategie per la  conquista del mondo coadiuvato dai suoi soldatini di plastica verde scuro.
Oggi il fratellino ha 30 anni e si è laureato in ingegneria con 110 e lode, ma agli occhi del Fotografo la realtà non è cambiata e il fratellino è il solito monello fannullone. Una volta al mese, quando si riuniscono tutti per una cena di famiglia, regolarmente il Fotografo gli chiede se ha fatto i compiti e minaccia di non lasciarlo giocare con i soldatini. Inoltre lo prende in giro per le sue pagelle disastrose e lo zittisce spesso perché “è troppo asino per dire qualcosa che valga la pena di ascoltare”. Nonostante sia stato presente alla laurea, nonostante la madre abbia provato a spiegarglielo più volte che il fratellino aveva messo da tempo da parte i soldatini per dedicarsi allo studio, il Fotografo non vuole sentir ragioni: regolarmente esce dalla casa dei genitori ghignante, ridendo della presunta ignoranza del fratellino che non studia per giocare con i soldatini.
Una terza foto, appesa a lato dello specchio, ritrae una ragazza giovane e dalle lunghe trecce rosse che ride divertita. L'aveva vista tutte le estati in campagna da quando erano piccoli e da sempre non riuscivano a rivolgersi la parola senza iniziare a beccarsi. Sembrava non esistesse un solo argomento sulla faccia della terra su cui i due potessero trovarsi d’accordo: ogni occasione era una buona per litigare e rispondersi per le rime.
Alcuni anni dopo, quando ormai l’adolescenza sfioriva ed era il momento di chiarire idee e sentimenti, la ragazza era andata da lui con le guance arrossate e gli occhi bassi e gli aveva confessato di sentirsi attratta da lui, ma il Fotografo sembrava incapace di comprendere la cosa. Le rispose con la sua solita ostinazione, rifiutandosi di prendere in considerazione il fatto che quella ragazza con le lunghe trecce rosse e le lentiggini che sbocciavano su un viso ridente potesse provare qualcosa per lui dal momento che avevano passato tutte le estati a litigare e lei, per lui, era solamente la ragazza a cui rispondere per le rime. Se ne andò dopo un’immancabile litigata, sospirando sull’antipatia di quella ragazza che le trecce le aveva tagliate da tempo e che ora non rideva più.
Cosa succede al nostro Fotografo? Che cosa vede attraverso la sua lente? Perché sembra non stare al passo con il mondo?
Si è fossilizzato, cristallizzato come gli attimi sulle sue pellicole: il mondo cambia, ma tutto ciò che lui vede sono le sue fotografie che hanno reso immortali e immutabili dei dettagli che ora costituiscono il suo mondo. Il suo è il mondo delle foto, il mondo del per sempre uguale. Per lui la drogheria starà sempre al numero 14 di via Manci, con il droghiere dai baffi bianchi e il forte accento tedesco dietro al bancone; il fratellino sarà sempre un fannullone che preferisce i soldatini e le loro strategie ai libri di scuola; la ragazza porterà sempre le lunghe trecce rosse e riderà ancora dopo aver litigato con lui sul più insulso degli argomenti. Tutto immobile.

Il Fotografo che si affaccia spesso al balcone del quarto piano è solo, ma è sicuro del suo piccolo mondo di fotografie che rimarrà per sempre immutato. Non si accorge che il ‘per sempre’ è uno specchietto per allodole che, pur di ottenere la sicurezza dell’immutabilità, si stringono esse stesse le catene intorno alle zampe.